Dizionario delle cose perdute

Il tubetto di una volta si schiacciava, partivi dalla fine e lo arrotolavi come un tubetto di colore da pittore, come un tubetto di conserva che comprimi col manico di un cucchiaio per cavarne fino all’ultima stilla. Poi è bello il tubetto arrotolato, è segno di un epoca, della mia giovinezza. Vi prego, posso pagarlo anche qualche euro in più, ma ridatemi un tubetto di dentifricio come quelli del tempo che fu.

Un enciclopedia della nostalgia. Di qualcosa che è stato e che non è più. Che i nostri genitori -o per qualcuno sarà già il caso di dire ‘nonni’ (?)- hanno visto, conosciuto, posseduto, usato, vissuto e che noi, invece, non abbiamo conosciuto (quasi) mai. Qualcosa lo abbiamo intravisto. Qualcosa no -o meglio non proprio perchè in fondo quasi ci sembra di averlo incrociato per quanto e per come c’è stato raccontato da nonni, prozii e vecchi di paese-. Ma qualcosa ci è completamente ignoto.. O perchè proprio non lo abbiamo nemmeno mai sentito o perchè, se anche c’è stato raccontato, è qualcosa di talmente distante da ciò a cui siamo abituati che ci è impossibile immaginarlo davvero.. un esempio su tutti: fumare al cinema!

 

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Un vero e proprio dizionario, come dice il titolo. Non un romanzo o un saggio o un racconto. Nulla che vada letto in un ordine prestabilito o tutto insieme. Piuttosto un enciclopedia, da consultare, in ordine sparso, qualche volta, ad intervalli di tempo irregolari. Magari tornando a leggere alcune voci più volte, magari alcune non leggerle mai. 

Perfetto per la generazione precedente alla nostra che tra le pagine riscopre ciò che ha conosciuto e ricorda ed anche ciò che, magari, ha conosciuto ma non ricorda più, ritrovando un sapore antico, un immagine che torna vivida alla mente, scoprendosi a dirsi “uh è vero” e chiedendosi come abbia potuto dimenticarsene. Bello anche per noi figli -o qualcuno già ‘nipoti’- di quelli del “uh è vero” di cui sopra.

Perchè la verità è che Dizionario delle cose perdute è un libro per i nostalgici. Per quelli a cui piace ancora scaldarsi le mani vicino al fuoco di legna e poco gli importa se appena un passo più in là è di nuovo freddo polare. Per quelli che di fronte a vecchie fotografie restano minuti interi a scrutare i volti, cercare somiglianze, interrogarsi su quelle esistenze. Per quelli a cui piace ascoltare rapiti gli aneddoti dei vecchi e che se a un certo punto se ne vanno o distolgono l’attenzione è solo perchè assaliti dalla paura di non riuscire a ricordare tutto e vinti dal certo timore del giorno in cui avranno ancora il ricordo della conversazione ma non più del conversato.

Nello stile del suo autore, Francesco Guccini, che in questo libro come nelle sue canzoni sa raccontare le verità comuni, quelle di tutti, in modo schietto, a tratti ruvido ma chiaro, autentico. Mescolando malinconia, saggezza e ironia (in buona dose, mi sembra giusto sottolinearlo).

Insomma, un libro da “avere lì all’occorrenza” per quando l “occorenza” si fa il bisogno di qualcosa che sappia di antico, il desiderio di uno strumento che ci trasporti un pò indietro, che ci traghetti ad un ricordo di qualcuno o di qualcosa.. .

In certi negozi, dopo la guerra, si trovavano inchiodate al bancone delle targhette metalliche. Una di queste diceva: La persona civile non sputa in terra e non bestemmia.

Ma che gente c’era?

 

 

 

 

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